giovedì 30 aprile 2009

Tutta la polvere che vuoi...

Un andirivieni incessante, prendi una strada, che ti sembra quella giusta: hai tutto: eppure una voce, trasformata in leggerissimo pulviscolo, ti richiama da lontano. Hai tutto: stai bene così non cerchi nient’altro di quello che ogni giorno ti dà. Mi bruciano gli occhi, a volte lacrimano un po’; ma non mi interessa (so che è quel leggerissimo pulviscolo): la freschezza dell’avere tutto è sufficiente a continuare a battere il ritmo del respiro. Maledetta polvere! Si annida ovunque, la vedi come nebbia nei pensieri solitari del passaggio al sonno - e la continui a rinnegare. Poi, il risveglio porta una nuova opportunità: il ritmo del respiro non ha più gli stessi battiti di ieri, quello che posso fare oggi si è comunque svelato, nonostante io abbia rinchiuso finora quella voce in una gabbia di vetro trasparente. Magneticamente calamitata verso quello che qualcuno chiama ‘destino’, insomma: fino a quando resisterò ancora? Fino a quando mi basterà il mio avere tutto di oggi, se quella scatola trasparente mi fa vedere che posso avere tanto altro ancora di quello che ho sempre grandemente desiderato? O è solo un capriccio - che alla fine la vita è tutto un capriccio; ma quando assaggi la caramella per cui caragnavi, sei felice no?!


Manu


lunedì 27 aprile 2009

Le 5 curiose domande

A: “Parlami del tuo mondo…”
B: “Non so se ti piacerebbe…”
A: “Parlami del tuo mondo…ti prego…”
B: “Il mio mondo è strano, è difficile da capire, e se non mi capisci rischi di confondere anche il tuo mondo,
di non capire più chi sei, né quel che ti hanno insegnato fin’ora”
A: “Vorrei provarci…”
B: “Allora proviamoci…Nel mio mondo tutto risponde a 5 domande: Chi? Cosa?Quando? Dove e perchè? E sai perché? Perché così tutto è logico, tutto ha un senso…E se ci pensi ho ragione. Guarda…vedi quel signore fuori dalla finestra, sta aspettando qualcuno…se tu fossi me penseresti…chissà dove va…e con chi…e puoi star certo che se io adesso andassi da lui e gli ponessi queste due domande automaticamente lui risponderebbe alle altre 3…già lo sento: vado al bar a trovare i miei amici. Come tute le sere una partita a carte prima di andare a dormire…”
A: “E’ interessante…ma perché lo fai?”
B: “Vedi, stai già cominciando ad entrare nel mio mondo…Perché mi chiedi? Perché sono curioso…Sono così fin da piccolo…e tu sei curioso…?”
A: “Io non lo so…”
B: “Capisco, ma questo puoi deciderlo solo tu …La vita ti offre la possibilità!”
A: “La possibilità?”
B: “Sii…insomma la possibilità di scegliere come essere…Ognuno di noi è diverso sai? E’ questo che ci rende speciali…pensa che noia se fossimo tutti uguali…”
A: “Io posso scegliere…ma quando potrò scegliere?"
B: “Ah hai visto? Lo hai fatto ancora…vedi, le domande sono l’essenza delle risposte…Ora non ti è chiaro, ma hai già capito che per saper rispondere alla domanda di prima…hai avuto bisogno di chiedermi quando questo accadrà…”
A: “Hai ragione? Non è difficile…ma fanno tutti così?”
B: “No, non tutti…si tratta di scegliere…Io ho scelto di guardare quel signore e di farmi certe domande…Io ho scelto di provare a capire una storia, ma poi mi sono fermato…Chissà quante storie da raccontare ci sarebbero nella vita di quell’uomo…quante storie…”
A: “E tu hai raccontato tante storie? Ne hai vissute tante?”
B: “C’è una bella differenza sai?”
A: “Perché?”
B: sorride “Perché un conto è vivere le storie, un conto è raccontarle. Si ne ho vissute tante, ma di loro non ho mai scritto nulla, le conservo nella parte più segreta del mio cuore, io racconto quelle degli altri, e cerco di farlo meglio che posso…”
A: “Lo fai perché ti piace?”
B: “Sai cosa mi piace, mi piace aprire il giornale alla mattina e sentire quel profumo di carta stampata…Mi piace sapere che nel mondo qualcuno fa qualcosa quando io dormo e mi piace sapere che c’è qualcuno come me che vuole raccontarlo”
A: “E’ molto bello vero…”
B: “Si è molto bello…ma sai perché è così bello? Perché è mio…Fa parte di me, si sveglia con me le mattina, prende il caffè con me, viene con me al lavoro ed è qui che parla insieme a te adesso…”
A: “E’ qui?”
B: “Si è qui, ma tu non lo vedi…forse un giorno anche tu lo vedrai…”
A: “E come farò a vederlo…”
B: sorride ancora… “Sei già sulla buona strada…Dormi adesso è tardi…”
A: “Buonanotte papà…”
B: sussurra “Buonanotte mio piccolo giornalista…”

Alo

sabato 25 aprile 2009

La fuga

L’altra sera mi è capitato di rivedere, dopo molto tempo, Mediterraneo di Salvatores. Non voglio parlare del film in sè, è già stato detto tanto e sicuramente non sono la persona adatta ad aggiungere critiche.

Ma di questo film mi interessa un aspetto particolare. Prima dei titoli di testa, compare questa frase di Laborit: “in tempi come questi, la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare” e i crediti di coda sono seguiti da una dedica “a chi scappa”.

Ed è proprio questo ciò che vorrei indagare. Il fuggire è un po’ il fil rouge che lega i protagonisti di questo racconto, ma è anche ciò che porta le persone comuni a sperimentare altro rispetto alla propria esistenza.



La fuga può essere fisica, lo spostamento in un luogo altro, oppure può essere una fuga “creativa”.

Così, che sia con la fotografia, la scrittura, la regia o qualsiasi altra forma di espressione, c’è sempre qualcuno che cerca di fare un piccolo passo avanti nella comprensione del mondo.

Personalmente, non so se riesco in questo intento o meno.

So solo che ci provo.

E qui torna il discorso delle proprie origini: la mia origine è un click. E’ il rumore dell’otturatore che scatta e cattura un pezzo di vita come io la vedo. O come la immagino.

Per quanto sia un’immagine digitale, quindi più eterea dell’immagine fotografica in sè, analogicamente parlando, ciò che si forma davanti ai miei occhi, in uno schermo, è reale. E, paradossalmente, non è in contrasto con la dimensione immaginifica. Che quello che ho davanti ci sia veramente o sia una mia interpretazione, quindi sia immaginato, è comunque li. E allo stesso tempo fa si che io non sia più li.

La mia fuga consiste nel perdermi nel reale.

E sono convinta che, finchè ci saranno persone ancora capaci di fuggire, in qualsiasi modo e con qualunque mezzo, sarà ancora possibile vivere.

Elena

venerdì 24 aprile 2009

Tra William Shakespeare e Freddie Mercury

“L'uomo nel cui cuore la musica è senza eco, che non si commuove ad un bell'accordo di suoni, è capace di tutto, di ferire, di tradire di rubare. Non fidarti di lui, ascolta la musica”.

Shakespeare.

Emozione. La musica regala emozioni. Ogni singola nota all’interno di una canzone può provocare uno stato d’animo, una sensazione, uno stimolo, e forse per questo la mia vita è sempre stata accompagnata da canzoni, note, strumenti, e mi ha sempre aiutato a superare i momenti difficili e a rallegrare quelli già positivi.



Ricordo che frequentavo il primo o il secondo anno delle scuole medie, ai tempi era appena uscito il lettore cd, mio padre ne aveva uno e, settimanalmente, noleggiava cd in un negozio e li copiava su delle musicassette.

Fu proprio da una di queste copie che mi arrivò in mano questa cassetta, rimanendone

completamente folgorato.: “Live at wembley ‘86” dei Queen.

Così con il tempo iniziò a balenare l’idea di fare qualcosa.

Cantare mi faceva stare bene, mi rasserenava e quando cantavo sentivo di essere io e la musica, le persone che erano vicine svanivano in quei 4-5 minuti … eravamo solo la musica ed io!

Fu un escalation graduale logicamente, dapprima ogni tanto cantavo qualche canzone con mio padre, poi ho iniziato a cantare da solo saltuariamente, poi sempre più spesso, fino a che ogniqualvolta potevo cantare lo facevo.

Le debolezze, i dolori, i pensieri, gli stress della vita, tutto svanisce perché in quel momento la musica, la melodia, le note della canzone, si trasformano in un elisir di sensazioni che ti scorre all’interno come un fiume e che ti fa dimenticare di tutto, ti trasforma, e ti da la forza di continuare, di camminare, di correre verso la metà che ti sei prefissato, verso la tua vita.

Cri

mercoledì 22 aprile 2009

La casa che rende folli

“… è vero la pozione magica in questi casi non serve a niente,ma noi li batteremo con le loro stesse armi, sta a vedere”.
(Le dodici fatiche di Asterix)



Benvenuto,

In questa interminabile pagina bianca è racchiuso l’inizio del nostro percorso.

Leggerai fra gli scritti spunti di riflessioni, storielle per conciliare il sonno, presagi di scenari apocalittici o la lista della spesa di qualcuno di noi.

In questa interminabile pagina bianca troverai un metodo chiarificatore del nostro agire.

Prenderà vita l’insolitudine di chi sa di essere un Balordo che ,con sorriso di sfida. ha varcato la porta della “casa che rende folli” proponendo il suo lasciapassare A-39.

In questa interminabile pagina bianca spero sarai dei nostri.

Bob

domenica 19 aprile 2009

Sarò breve...

Quando mi è stato chiesto di scrivere un “pezzo” sulle origini mi sono perso.
Ho appoggiato il telefono e dopo un attimo di esitazione mi sono chiesto – “E adesso che ti inventi?”.
Ho acceso il computer ed avviato word. La pagina bianca.
Ho sempre odiato la pagina bianca, troppo violenta.
Incominci a farti domande.
Interesserà veramente a qualcuno quello che ho da dire? Quando ti fai di queste domande, parliamoci chiaro, vivi male.
Hai paura di sbagliare i congiuntivi.
Di ripeterti.
Il problema di tutti è di avere qualcosa di interessante da dire. Il problema di chi scrive è come dirlo.
Poi il lampo.
La pagina bianca è l’origine.
Pensateci un secondo. Da Kafka a Poe, da Ellis a Welsh la pagina bianca è filo conduttore. Un inizio.
Nasce tutto da lì.
Poi lo scrittore diventa interlocutore della sua pagina.
Persone con una concreta passione che trasmettono la loro esperienza e si ingegnano per dare futuro ad un progetto.
Gente appassionata. In lotta per sostenere il proprio meraviglioso mondo immaginario. Persone capaci di provocare emozioni .
Poi.
Poi ti viene in mente quando tu, per la prima volta, hai violentato quella pagina bianca. Lo sforzo immane che hai dovuto sostenere per trovare qualcosa di interessante o di mediamente decente da scrivere.
Da vomitare su quelle pagine.
E pensi se anche i grandi scrittori si siano mai trovati in situazioni simili.
Leggendo Addio alle armi mi innamorai della scrittura. Pensai che era inconcepibile che una persona, un essere umano come me, potesse scrivere una cosa tanto meravigliosa.
E ne volli sempre di più.
Finii per leggere ogni cosa mi capitava tra le mani.
Rimasi folgorato da quel mondo. Uno stuolo di individui e liberi pensatori in gara con se stessi e con la pagina bianca.
In corsa come treni, col rischio di deragliare inveendo contro la dittatura dell’ignoranza.
La dittatura dell’ignoranza contro la pagina bianca. Perché dopo l’origine deve necessariamente esserci una evoluzione.
Un’evoluzione continua, una ricerca assidua e pressoché infinita. Perché la pagina bianca è lì e ci sfida.
E voi che fate? Accettate la sfida?.
Dade

Succede che...

Succede che uno studente di Comunicazione all'ultimo anno debba decidere di affrontare
alcuni esami più "noiosi", come Marketing o Tecniche della comunicazione pubblicitaria,
oppure altri esami più "divertenti" come Storia del Teatro o Semiotica. Questa è la scelta
che è capitata a me. Così, un po' perchè credo di essere più portato per l'arte che per la
matematica e un po' per inettitudine, decido di iscrivermi al Corso di Storia del Teatro
contemporaneo. Davanti a me, un mondo nuovo.
Fino a quel giorno il teatro era, per me, lo stesso teatro che abbiamo nell'immaginario
collettivo: una sala, con tanti posti a sedere, un palcoscenico e i palchetti ad alveare attorno
alla platea. Fine.
Il caso ha voluto che quel corso di Storia del Teatro fosse un corso monografico su Tadeusz
Kantor e Jerzy Grotowski. Due registi polacchi che hanno rivoluzionato questa immagine del
teatro: Kantor ha portato il teatro fuori dai teatri e l'ha inserito in vecchi capannoni diroccati
e cantine, che acquisivano nelle sue piece una valenza scenografica, facendo sconfinare la
finzione nell'inferno della realtà; mentre Grotowsky ha esonerato il teatro dal confronto con
il cinema e gli ha ridisegnato un ruolo all'interno della contemporaneità.
Il fatto di non avere conoscenze approfondite su ciò che fosse il teatro prima di Kantor e
Grotowsky, mi ha permesso di assaporare meglio l'opera di due rivoluzionari, che hanno
voluto iniziare un nuovo capitolo del libro del Teatro, lasciandosi alle spalle tutto ciò che era
venuto prima, partendo, anche loro, da una pagina bianca.
Co

Legenda

Ecco or tosto un elenco atto a semplificare la comprensione del nostro fare.
Aver dimestichezza di una percezione che non si limiti ad un punto, ma che percorra le vie di “Flatlandia” con occhi da bambino e mente aperta come un paracadute.
Accorgersi che non si può far altro che dare libero arbitrio alla mente, per far smuovere la mano impugnante una matita e, che essa si farà efficace ambasciatore nel raccontare ciò che è l’ aldiqua.
Sapere che ogni uomo ha un “Idea fissa” e, per quanto uno ci provi, può tenerla alla larga per un po’, ma, prima o poi, sarà lui stesso a chiamarla per farsi divorare compiaciuto da essa.
Percepire e muoversi entro i propri limiti con la sensazione che senza azioni , essi, rimarranno statici in un tempo che è dinamico e in una dimensione che è come non mai plasmabile.
Apprendere di essere alla ricerca di un metodo e , avendo sconfitto la claustrofobia dei venti grammi e poco più che mi sono rimasti, possiamo solo continuare ad affinarlo per non aver “Sonno“ nel luogo comune.

Le nostre origini le puoi trovare sotto le tue suola, il nostro intento dentro queste letture e la nostra voce per la strada che percorri.

Vuoi giocare con noi?
Bob